Rimborso rette Alzheimer: rigettato l’appello della RSA, costi a carico del SSN

Rimborso rette Alzheimer: rigettato l’appello della RSA, costi a carico del SSN

Neppure il tempo di commentare la recente pronuncia n. 2709/25, pienamente favorevole ai malati ricoverati in RSA, che la Corte di Appello di Milano deve nuovamente esprimersi sulla medesima questione. 

Questa volta è stata sollecitata da una RSA che, dopo essere stata condannata in primo grado al rimborso delle rette pagate dal marito di una malata ricoverata (Trib. Como n. 1188/24), ha richiesto la revisione della decisione, a sé sfavorevole, adducendo una serie di censure, che di fatto sono state tutte puntualmente e rapidamente disattese. 

Il caso

La vicenda è quella, purtroppo troppe volte registrata da Consulcesi & Partners nelle sue consulenze, di una paziente che, affetto da demenza fronto-temporale, con un quadro di comorbilità piuttosto complesso, veniva assicurato alle cure e all’assistenza degli operatori di una struttura residenziale. 

La retta mensile veniva sostenuta dal coniuge, che aveva peraltro sottoscritto il relativo contratto di degenza, obbligandosi personalmente al pagamento. Dopo il decesso, il congiunto riceveva la notifica di un decreto ingiuntivo con cui la stessa RSA reclamava il saldo di alcune rate relative al ricovero, rimaste nel frattempo insolute. 

Interposta opposizione all’ingiunzione di pagamento notificata, il Tribunale di Como emetteva sentenza n. 1188/2024, con cui accoglieva la tesi spiegata dal marito della deceduta ritenendo, alla luce dell’approfondita verifica del complesso quadro patologico documentato, che la stessa necessitasse di una serie di prestazioni cd. “ad elevata integrazione sanitaria, inscindibilmente connesse con quella assistenziali, di cui il relativo costo complessivo avrebbe dovuto essere sostenuto dal SSN, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità. 

La RSA, risultata soccombente rispetto all’accertata nullità del contratto di degenza sottoscritto e, per l’effetto, riguardo al conseguente rimborso delle rette già sostenute dal marito, che null’altro avrebbe quindi dovuto pagare rispetto all’ingiunzione di pagamento, di fatto annullata, presentava appello avverso la sentenza, invocando la rivalutazione delle conclusioni rassegnate dal Tribunale. 

Motivi di gravame

Risolte con estrema rapidità le questioni preliminari sollevate, il Collegio meneghino ha dunque rivolto l’attenzione alle censure relative al merito della decisione impugnata, sintetizzate nella sostenuta erroneità del ragionamento svolto dal Tribunale, per non aver considerato, da un canto, che la delibera  n. 1046/2018 della Regione Lombardia prevedesse comunque la compartecipazione del ricoverato al costo del servizio nella misura del 50% e, dall’altro, che l’affermata gratuità delle prestazioni rese a favore della paziente fosse, in ogni caso, avversata dal principio generale del cd. “condizionamento finanziario” che, di fatto, viene a bilanciare la tutela della salute pubblica. 

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La risposta della Corte 

Richiamate testualmente le massime giurisprudenziali considerate più significative degli ultimi anni (dalla Cass. Civ. n. 4558/2012 fino alla più recente Cass. Civ. n. 4752/2024), la Corte di Appello di Milano ha ribadito come il quadro normativo di riferimento sia correlato all’art. 30 L. 833/1978, per cui sono a carico del SSN le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali, ed al DPCM 14.02.2001, che stabilisce la gratuità delle “prestazioni sanitarie a rilevanza sociale” (art. 3 comma 1 D.P.C.M. 14/02/2001) e di quelle “socio sanitario ad elevata integrazione sanitaria” (art. 3 comma 3).  

Di alcun pregio, allora, l’affermata valenza della previsione regionale invocata dalla RSA appellante, ossia il d.c.r. n. 1046/2018, che in ogni caso non potrebbe giammai derogare ai principi promossi dalla disciplina contenuta nella normativa statale.  

Scendendo poi nel caso specifico, il Collegio ha quindi pienamente accolto la motivazione esposta dal giudice di prime cure in quanto, già dalla documentazione medica in atti, emergeva chiaramente come la paziente fosse affetta da severa patologia cronica neuro-degenerativa non suscettibile di guarigione in base alle attuali conoscenze scientifiche” che la rendeva “totalmente dipendente nelle attività di vita quotidiana”.  

Gli stessi Piani Assistenziali individuali, depositati in giudizio, dimostravano chiaramente come il complesso quadro patologico della degente venisse affrontato con una serie di attività sia di carattere sanitario, che infermieristico (nello specifico, si riporta visite mediche bimestrali o secondo necessità; somministrazione quotidiana di terapia farmacologica; impostazione della nutrizione enterale e dell’idratazione; esami laboratoristici periodici ed al bisogno; ECG periodici; prevenzione e cura delle lesioni da decubito; adozione delle misure di sicurezza), oltre che di natura riabilitativa (e necessariamente assistenziali), che non avrebbero potuto essere offerte a domicilio. 

Proprio per questo motivo, si è dunque ritenuto pienamente corretto l’apprezzamento del Tribunale, con conseguente rigetto dell’avversa prospettazione svolta dalla RSA appellante, laddove ha ritenuto tutte queste attività avvinte da un nesso inscindibile, siccome necessarie per contenere l’esito degenerativo, sia pure irreversibile, della patologia e contribuire a sostenere al meglio possibile le condizioni di vita e di sopravvivenza del paziente. 

La decisione finale 

Respinti i motivi di merito formulati dalla struttura soccombente in primo grado, la Corte di Appello di Milano, con la sentenza n. 3027 pubblicata lo scorso 11 novembre, ha quindi confermato la decisione del Tribunale, da cui l’annullamento del decreto ingiuntivo opposto e conseguente conferma della condanna della RSA alla restituzione di quasi 20 mila euro già ricevuti a titolo di retta di degenza in quanto non dovuti, con relativa sonora liquidazione delle spese legali sostenute dal familiare vittorioso. 


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