Rimborso rette RSA: ancora una vittoria per i pazienti
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Sull’onda dei diversi pronunciamenti favorevoli ai malati di Alzheimer ricoverati in RSA (LINK), anche il Tribunale di Pisa, con la sentenza n. 1070/25 pubblicata lo scorso 18/11, ha inteso inserirsi nel solco di coloro che, sempre di più numerosi, stanno via via riconoscendo il diritto al rimborso integrale delle cospicue rette di degenza sostenute.
La vicenda
Il caso esaminato dal Tribunale toscano trae origine dall’iniziativa del figlio di un degente, purtroppo prematuramente scomparso dopo essere stato ricoverato presso una RSA territoriale, perché affetto da morbo di Alzheimer.
Nel ruolo di Amministratore di sostegno del proprio congiunto, aveva infatti provveduto alla sottoscrizione del contratto di degenza, onorando inizialmente l’impegno economico, poi interrotto avendo appreso del consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale per cui, in casi come quello del padre, nessuna spesa poteva essere posta a carico del paziente (ovvero dei suoi familiari), venendo in rilievo la fornitura di prestazioni sanitarie strettamente connesse a quelle assistenziali, con conseguente accollo diretto al Servizio Sanitario Regionale.
Vista l’avvenuta ricezione, a seguito del decesso paterno, di un sollecito di pagamento per rette rimaste inevase, l’erede si risolveva ad incardinare il giudizio richiedendo, preliminarmente, accertarsi la nullità ex art. 1418 c.c. del contratto di ospitalità sottoscritto, con conseguente restituzione delle somme corrisposte per la degenza del proprio congiunto.
La valutazione giudiziale
Dopo aver risolto, respingendola, la questione di giurisdizione sollevata, il giudice è quindi passato ad occuparsi del merito della questione sottoposta al suo esame, ricostruendo il quadro normativo di riferimento individuato espressamente nei DPCM del 14 febbraio 2001 e del 29 novembre 2001, come poi sostituito dal DPCM 12 gennaio 2017.
Delineate le tre categorie distintive delle prestazioni socio sanitarie in prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, oppure prestazioni sociali a rilevanza sanitaria od, infine prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, si è quindi rimarcato come soltanto la prime e la terza sono assoggettabili al regime della gratuità.
L’inquadramento normativo
Riprendendo tratti della motivazione, viene ricordato il contenuto dell’art. 3 del DPCM 14 febbraio 2001 laddove stabilisce al suo primo comma che “Sono da considerare prestazioni sanitarie a rilevanza sociale le prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale. Dette prestazioni, di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali”. Al comma 2 che “Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di [...] salute. Tali attività, di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi e si esplicano attraverso:
a) gli interventi di sostegno e promozione a favore dell'infanzia, dell'adolescenza e delle responsabilità familiari;
b) gli interventi per contrastare la povertà nei riguardi dei cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni personali o sociali;
c) gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti;
d) gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili a domicilio;
e) gli interventi, anche di natura economica, atti a favorire l'inserimento sociale di soggetti affetti da disabilità o patologia psicofisica e da dipendenza, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al lavoro dei disabili;
f) ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.
Dette prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata, sono erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza”.
Al successivo comma 3 – ricorda la sentenza – si afferma che “Sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all'art. 3-septies, comma 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall'inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell'ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell'impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell'assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell'assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungo assistenza”.
Di seguito, viene rammentato che DPCM 12 gennaio 2017, definendo i cd. LEA (Livelli essenziali di assistenza sanitaria) che devono essere garantiti a tutti, stabilisce che “1. Il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche e in coerenza con i principi e i criteri indicati dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche e integrazioni, i seguenti livelli essenziali di assistenza: a) Prevenzione collettiva e sanità pubblica; b) Assistenza distrettuale; c) Assistenza ospedaliera. 2. I livelli essenziali di assistenza di cui al comma 1 si articolano nelle attività, servizi e prestazioni individuati dal presente decreto e dagli allegati che ne costituiscono parte integrante”.
Infine, il successivo art. 53 del succitato DPCM prevede espressamente che “Le persone affette dalle malattie croniche e invalidanti individuate dall'allegato 8 al presente decreto hanno diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie indicate dal medesimo”.
Si conclude dunque l’excursus segnalando che, proprio nel richiamato allegato 8, viene testualmente citato il morbo di Alzheimer.
I richiami giurisprudenziali
Ricostruito il quadro normativo di riferimento, il magistrato ha quindi ripercorso alcune fra le pronunce più significative sul tema (fra le altre, Cass. Civ. n. 26943/24, Cass. Civ. n. 21162/2024, Cass. Civ. n. 2038/23, Ca Milano n. 164/25), giungendo così a condividere l’assunto, variamente ripetuto da più parti, per cui i malati di Alzheimer rientrano fra coloro che devono assistersi attraverso una serie di prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, caratterizzate dall’elevata intensità e non riconducibili alla semplice assistenza.
Sarà quindi sufficiente – riprendendo le indicazioni della Suprema Corte - che a una persona affetta da Alzheimer siano erogate prestazioni sanitarie collegate, per rendere la prestazione assistenziale inscindibilmente connessa a quella sanitaria.
La decisione
Andando quindi ad esaminare il caso concreto, si è quindi osservato come tutta la documentazione clinica prodotta deponesse per l’esistenza di un quadro clinico piuttosto grave e complesso, per cui il paziente in RSA doveva intendersi completamente privo di autosufficienza e nel contempo bisognoso sia di terapie farmacologiche, anche in ragione della presenza di comorbilità ulteriori rispetto all’Alzheimer conclamato, che di plurimi interventi di natura infermieristica.
Da ciò, ne è quindi conseguita la decisione che, durante il ricovero, il paziente venisse trattato mediante una serie di prestazioni socio-assistenziali strettamente connesse a quelle più naturalmente sanitarie, oltre a quelle tipicamente fornite in RSA di sorveglianza ed assistenza.
Dichiarata, pertanto, la nullità dell’accordo sottoscritto dal figlio ed amministratore di sostegno, il Tribunale di Pisa ha quindi accolto la domanda di restituzione, riconoscendo il diritto al rimborso della somma di euro 11.761,00, liberandolo per ciò solo da qualsiasi ulteriore pretesa vantata dalla RSA per il soggiorno del proprio congiunto, dovendosi intendere il costo ricompreso fra le prestazioni a carico del SSR e quindi totalmente gratuite per il degente.
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